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140 presenze in biancoceleste, suggellate da una cinquantina di gol. Ma quando a volte gli chiedono cosa ha vinto in carriera, o quanti gol ha segnato, Ruben Sosa risponde per prima cosa "l’amore dei tifosi della Lazio". Perché ancora oggi all'Olimpico, ogni tanto, si sente quel coro che porta il suo nome. Quattro stagioni nella Capitale, dove è nata una storia di un calcio che non c'è più, quello romantico e passionale: la storia d'amore tra il ‘Principito’ e i laziali. Ruben, scoperto da Regalia e Lovati a Saragozza, fu insieme ad un acerbo Di Canio l'uomo più carismatico nelle due stagioni di Materazzi, negli anni che anticipano quelli dello Scudetto del 2000. Ruben, classe ’66, oggi compie 57 anni.

RUBEN E I DERBY

"I laziali sono unici. Allegri. Vivono il rapporto con la squadra in maniera molto forte. Quando ero a Roma e passeggiavo per il centro ogni tre metri trovavo un laziale che mi fermava. Che mi parlava, che mi chiedeva un autografo o che semplicemente voleva abbracciarmi. A Milano queste cose non accadevano". Ruben Sosa fu un vero e proprio spauracchio per i giallorossi. Nei derby ha segnato in tutti i modi: di sinistro, in acrobazia e di testa, pareggiando una gara giocata in 9 dalla Lazio. "Fare un gol al derby era come segnare dieci reti in altre partite". Ruben Sosa, a Tor di Quinto, era amato per la classe ma anche per la simpatia. Sapeva tenere unito il gruppo a suon di scherzi. "Ne ho fatti tanti, ma mai quanti Gascoigne. Ma lui era sicuramente più pazzo di me".

IN COPPIA CON AMARILDO

"L’unico brasiliano che conosco con 49 di piede. Non ne avevo mai visto uno così. Lo vedevi e pensavi: questo non può essere un brasiliano. Eppure con i piedi non era male. Di testa poi era bravissimo. Ha segnato tanti gol alzandosi in volo sopra gli avversari. Ancora oggi lo sento. È un mio amico. Era un atleta di Cristo. Prima regalava le bibbie agli avversari e poi in campo gli menava. Un grande".

E CON RIEDLE

"Riedle era un centravanti straordinario, un numero nove completo. Abbiamo giocato insieme alla Lazio e poi anche al Borussia Dortmund. Insieme ci completavamo. Abbiamo formato una bella coppia, che Dino Zoff, dalla panchina ha saputo sfruttare alla grande. Il mister era fortissimo. Tranquillo, umile, calmo.  Ti diceva le cose con serenità. A volte in panchina sembrava che dormisse, ma invece era bello sveglio e attento. Una volta durante gli allenamenti venne da me e mi disse: “Se mi metto i guanti e torno in porta non mi fai neanche un gol”. Io gli risposi che ormai aveva quasi sessanta anni e che si sarebbe fatto male. Bene, gli ho fatto una decina di tiri, simulando le punizioni. Me li ha parati tutti".

L'ADDIO

Se ne andò per soldi da Roma ed il passaggio a Milano avvenne nell’estate del 1992. "L’anno precedente ho fatto di tutto per rinnovare il mio contratto con la Lazio, ma il presidente Calleri non era d’accordo. Mi disse di iniziare la nuova stagione insieme e poi di decidere a fine anno cosa fare. Credo che l’idea di cedermi era già stata presa. Lasciare Roma e la Lazio non è stato facile. La cosa più strana e difficile è stata affrontare la Lazio da avversario. Alla Lazio ero e sono molto legato. La Lazio mi ha preso ragazzino e mi ha fatto diventare un grande calciatore".

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