Tifo violento: “Siamo tutti vittime e tutti colpevoli”
Assurdo ed inconcepibile, ma ci ritroviamo di nuovo a dover risentire quella frase che ormai ciclicamente ritorna in tutta la sua irreparabile crudeltà “Non si può morire per una partita di pallone”. Quello che non vorremo mai accadesse è avvenuto proprio nella giornata di campionato che si gioca il giorno successivo al Santo Natale, nel periodo dell’anno in cui per tradizione cristiana dovremmo tutti essere più buoni. Sembra assurdo ma qui non si tratta di essere credenti o meno, non siamo di fronte a bravi ragazzi o malintenzionati, la discussione ha una portata decisamente più ampia di quanto possiamo immaginare. Potremmo dire che si tratta di un problema culturale, ma poi alla fine notiamo che certe cose accadono a tutte le latitudini e solo quando si avvicinano al nostro orticello vengono prese in considerazione. Solo poche settimane fa avevamo espresso il nostro sdegno contro coloro che avevano aggredito un arbitro in una gara dilettantistica attentando alla sua vita. Avevamo auspicato dei seri provvedimenti ed invece siamo costretti nuovamente a dover commentare un episodio ancor più tragico come la morte di un uomo a margine di una partica di calcio. Non deve interessare sapere di chi sono le responsabilità e nessuno di noi sarà chiamato a valutare eventuali contromisure da adottare. Per questi compiti ci sono enti e uomini preposti che troveranno soluzioni più o meno valide in attesa che venga fatta chiarezza prima e giustizia poi su questa ennesima tragedia. Quanto accaduto a Milano ha però danneggiato tutti noi tifosi, costretti a subire l’ennesima ingiusta violenza che ci ha portato via una parte imprescidibile della nostra personalità violentando ed affievolendo la sana passione per lo sport a scapito di un senso di ripudio verso questo modo di eprimere un disagio più che un amore per una squadra di calcio. Al tempo stesso però non dobbiamo rimanere fermi ad assistere a tutto questo in maniera passiva. Il farlo ci renderebbe inesorabilmente complici perchè è arrivato il momento di assumersi tutti la responsabilità di quanto accaduto e tutti insieme siamo obbligati a tentare di migliorare questa situazione che sembra andare sempre più alla deriva. Si deve ripartire dalle cose più semplici e comuni come le discussioni da bar, per passare all’utilizzo dei social per arrivare infine ad educare figli, nipoti e tutte le future generazioni verso un mondo dove il tifo torni ad essere il modo per esprimere sentimento di appartenenza verso una squadra, dove non esistono nemici, ma solo avversari e dove l’ironia deve essere l’unica arma a disposizione e le lacrime che oggi qualcuno è costretto a versare vengano per sempre sostituite da sorrisi. Occorre difendere la passione per lo sport, come faremmo per un nostro caro, da chi cerca in maniera vigliacca di sfruttarla e mortificarla per ragioni che esulano dall’umana comprensione. Bisognerebbe fare una sana autocritica ed evitare l’errore, ormai troppo comune, di puntare il dito contro il mondo ultrà, le istituzioni o lo Stato ed utile sarebbe rifarsi alle parole di John Fitzgerald Kennedy che il giorno del suo insediamento alla Casa Bianca il 20 gennaio del 1961 disse “Non chiederti cosa il paese può fare per te, ma chiediti cosa tu puoi fare per il tuo paese”. Solo avendo la consapevolezza che la soluzione efficace e definitiva deve partire da una rinnovata coscienza comune potremo difendere lo sport da certe malsane ingerenze e difendere, quindi, anche la libertà di esprimire le nostre emozioni e la nostra fede calcistica.